“Prendi la tua croce e seguimi”
La differenza tra conversione e sequela
Solitamente parliamo di conversione sempre in relazione agli “altri”.
Il credente può essere tentato infatti a ritenersi già al sicuro dalle insidie di scarsa fede. Anche perché il “discorso” su Dio viene quasi sempre relegato ad ultimo tra i nostri pensieri.
Il termine conversione rischia quindi di essere inteso solo rivolto a chi credeva in un altro Dio, oppure in nulla, e si avvicina alla Fede.
Si tratta di una concezione riduttiva: la conversione non è mai completamente acquisita e consiste in diversi livelli che, crescendo, avvicinano alla sequela.
Credere in Dio è un dono. Può essere riservato a persone dalla mente eccelsa o meno. Ma in quanto dono, deve essere accolto, e anche gradito.
Capita nella vita di tutti i giorni di accogliere un regalo da un parente o da un amico, e poi relegarlo in un angolo, o addirittura riciclarlo. Con la Fede non dobbiamo fare in questo modo.
La conversione, ci hanno insegnato gli Apostoli e i Padri della Chiesa, deve essere quella del cuore. Ma è solo il primo passo, ovvero quello che non dipende completamente da noi, in quanto la Fede è un dono.
Per essere veramente cristiani, occorre dunque gradire il dono di Dio, e questo si dimostra con la sequela.
Sequela è seguire Gesù, nei suoi insegnamenti di vita e in quelli di vita eterna. Significa uniformarsi a lui con la preghiera, ma non solo. Il vero discepolo è colui che mette in pratica nel quotidiano la Parola di Dio.
Il Padre non pretende da noi gesti straordinari: il sacrificio perfetto si è già compiuto con la Croce.
Seguire il Padre, dunque, vuol dire averlo presente in ogni azione della nostra vita, applicando i suoi insegnamenti, che si traducono nell’amore tra fratelli.
Nella sua bontà Dio ci chiede di portare la croce, che non è necessariamente quella del martirio.
Davanti agli eventi della vita, siano essi positivi o negativi, dobbiamo dunque porgerci come CREDENTI, ovvero come costruttori del Regno che è già qui in mezzo a noi.
Alle incertezze della vita dobbiamo quindi rispondere con la speranza che è in noi.
Nessuno può spiegare perché il male fisico colpisce un individuo piuttosto che un altro: questa risposta non la avremo su questa terra. Dobbiamo però pensare che il nostro Maestro stesso subì il male fisico nella tremenda prova della crocifissione.
Accettare il dolore non significa non cercare di superarlo. Gesù stesso chiese al Padre di essere esentato dalla prova, se fosse stato nella Sua volontà. Accettare il dolore vuol dire essere consapevoli dei nostri limiti umani, nella certezza che non finisce qui.
Prendere quindi la nostra croce, vuol dire unirsi a Gesù e al progetto divino del Padre, che è il bene per noi.
La sequela è quindi il vertice più alto della conversione: quella condizione che ci fa veramente discepoli di Gesù. Solo con la sequela potremmo dire di essere realmente convertiti.
“Poi a tutti diceva: ‘Se qualcuno vuol venire con me, smetta di pensare a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23)