Il Signore trasforma in eccellenza la nostra insufficienza
Non è il seme ad essere guasto, ma è il terreno a non essere sempre adatto
«Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
(Dalla liturgia).
Questa parabola, ad ascoltarla bene, in effetti è angosciante: il seminatore butta il seme dappertutto, ma in tre casi su quattro il suo lavoro è del tutto inutile, il seme viene sprecato, e anche dove il seme da frutto, lo da in misura diversa: il trenta, il sessanta, il cento per uno. Quindi dà frutto pieno solo in un numero molto limitato di casi. E questo non perché il seminatore sia avaro nel gettare il seme, oppure lo getti in modo diseguale, e non perché il seme sia in qualche modo difettoso. Il difetto appartiene al terreno, che siamo noi.
Il seme caduto sulla strada, sul terreno sassoso o in mezzo alla spine, per motivi diversi, non porta alcun frutto. Quello caduto sul terreno buono invece sì. Quando si lascia agire la parola di Dio in noi senza ostacolarla o indebolirla il frutto è sorprendente. Chi si intende un poco di agricoltura sa che un terreno può produrre frutti moltiplicando per cinque il seme gettato, nei casi più fortunati il dieci. Ma il trenta, il sessanta, addirittura il cento sono percentuali irrealistiche in natura. Il Signore, se lo lasciamo agire, se non glielo impediamo con il nostro comportamento ingiusto, ci da molto di più di quello che immaginiamo. Non escludiamolo, o con un rifiuto esplicito o riducendo la vita di fede ad un’esperienza puramente emozionale o sociale, senza effetti nella vita concreta.
Lasciamolo fare e il Signore ci darà una ricompensa molto maggiore di quella che possiamo immaginare.