Perché Gesù operò delle resurrezioni?
Il significato è da cercare nel proiettarci nella visione eterna della vita
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare.
(Dalla liturgia).
Gesù è uomo sul serio. L’incarnazione, l’essere divenuto uomo è una cosa vera, non è una finta, una mascherata. E lo vediamo dalle reazione che ha davanti alla scena tristissima che gli si para davanti: la bara di un ragazzo che esce dalla casa della madre. Tra l’altro la donna è vedova e non ha altri figli. Non che se avesse avuto altri figli o un marito il dolore per la morte del figlio sarebbe stato minore. Questo no, ma almeno avrebbe avuto dei buoni motivi per reagire, per guardare avanti. Ma così no. È un dolore assoluto, terribile, quello di questa donna.
Gesù, essendo uomo per davvero, si commuove davanti a questa scena, e dice alla donna: «non piangere». Come uomo tutto quello che può fare è mostrare la sua solidarietà, la sua vicinanza alla donna. È impotente a risolvere il problema della morte. Davanti alla morte l’uomo non può più fare nulla. Ma Dio no. Gesù è diventato (ed è) pienamente uomo, essendo rimasto completamente Dio. E Dio ha il dominio della vita.
Gesù restituisce il soffio vitale al ragazzo e restituisce il ragazzo alla madre. Cristo vince la morte.
A questo punto però possiamo farci due domande. La prima è questa: quel ragazzo ha avuto un dono grandissimo, ma non un dono definitivo: un bel giorno egli è morto per la seconda volta. Certo, c’è una bella differenza tra il morire a diciotto-vent’anni e morire in tarda età, ma il ragazzo ha dovuto affrontare ciò che affrontano tutti: malattie, vecchiaia, morte. Da Dio è lecito aspettarsi qualcosa di più.
E una seconda domanda: a me cosa cambia, cosa cambia nella mia vita il fatto che Gesù, quasi duemila anni fa, ha concesso ad un ragazzo di vivere per qualche anno in più? Sono contento per lui e per sua mamma, che, tra l’altro, come lui oggi sarà polvere di polvere, ma nella mia vita non cambia proprio nulla.
Come quel ragazzo di Nain sono destinato, presto o tardi, a morire. E’ un destino segnato: siamo nati condannati a morte. Tra cent’anni (centoventi, contando i ragazzi) di noi qui presenti su questa terra non ci sarà nessuno. In sostanza potremmo dire che questo miracolo di Gesù non è servito quasi a niente, e senz’altro a noi non cambia nulla nella nostra vita.
Non è così. Questo miracolo, oltre che un fatto storico, realmente verificato, è anche un segno. Il segno è un qualcosa che ci fa capire qualcosa d’altro, un qualcosa di solito molto più grande del segno stesso: un paese è più grande del cartello indicatore che lo indica, una Nazione è cosa più grande, in tutti i sensi, della sua bandiera.
E cos’è la realtà che questo miracolo di Gesù ci vuole indicare? È la vita eterna, il destino a cui Dio ci invita, per il quale ci ha creati. Il destino di pace e di gioia che non è destinato a finire con un funerale, a finire in una tomba.
Per questo ci invita ad avere fede in lui, ad amarlo e a rispettare i suoi comandamenti: avere fede, amare Dio e rispettare i suoi comandamenti sono tre azioni strettamente legate tra loro, non è possibile l’una senza le altre due. Ci invita ad avere fede, ad amarlo e a rispettare i suoi comandamenti proprio per poter entrare nella vita.
Ricordiamo sempre che Dio ci invita, non ci obbliga, rispetta la nostra libertà di rifiutare questo dono grandissimo, ma con questo miracolo ci dice che la morte non va temuta, non ha l’ultima parola. Non dobbiamo sbagliare bersaglio: quello che dobbiamo temere non è la morte: la morte è solo un passaggio, Cristo l’ha vinta. Quello che dobbiamo veramente temere è quello che succederà un secondo dopo la nostra morte, cioè il giudizio di Dio e il rischio concreto e attuale di perdere la comunione con Colui che ci vuole donare la vita eternamente felice del paradiso.