Il silenzio marciano
4 Febbraio 2024 By Enrico Cannoletta

Il silenzio marciano

La gradualità di Dio, grande pedagogo, nelle parole non (ancora) dette

Il Vangelo di oggi (Mc 1,29-39) indica tra le altre molte cose, alcuni aspetti che il fedele può cogliere con un’attenta lettura.

Il ricorrere dell’avverbio “subito” indica ad esempio un’azione che è sottolineata dall’urgenza teologica che ci presenti un fatto importante. Lo troviamo quando Gesù ha appena ricevuto il Battesimo, e immediatamente esce dal Giordano.

Per comprendere bene questa accezione bisogna ricordare che il rito del Battista prevedeva l’immersione completa del catecumeno, il quale, quando riemergeva si soffermava nell’acqua per confessare a Dio i propri peccati. Gesù invece, privo di qualsiasi colpa, esce subito dal fiume, e subito arriva la voce di Dio che apre definitivamente i cieli. I sette filtri posti tra uomo e Dio si squarciano per sempre, e il Padre annuncia il Figlio, suo compiacimento. Affiora dunque anche la Trinità col Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sotto forma di colomba, in un momento di solennità assoluta.

In Marco 1,29-39, troviamo l’avverbio dell’urgenza quando Gesù, dopo aver predicato nella sinagoga si reca nella casa di Pietro. Il Cristo rileva dunque la necessità impellente di tradurre ciò che si è pregato portandolo nella famiglia, ovvero nella vita quotidiana.

All’urgenza di Gesù gli apostoli rispondono col «subito» delle necessità quotidiane: gli presentano la suocera di Pietro, che è malata gravemente, come si evince dal significato del verbo greco utilizzato nel Vangelo (mentre nella traduzione la gravità non si evince). Gesù coglie l’aspetto terreno e fa emergere quello teologico della diaconia: la suocera del principe degli apostoli, toccata dalla grazia si dedica al servizio.

Il segreto marciano, ovvero quelle accezioni di silenzio di Gesù (come è silenzio la prima lettera dell’alfabeto ebraico, alef), emerge con la vicenda degli esorcismi narrata nel brano. Gesù non permetteva ai demoni scacciati di parlare, «perché lo conoscevano». Gesù non voleva essere scambiato per un semplice taumaturgo, o peggio ancora per un mago. Inoltre riconoscere Gesù è un aspetto che deve coinvolgere l’uomo nella scelta e nella gradualità della conoscenza di Dio. Ecco quindi che si apparta.

Gli apostoli lo cercano, ma Lui risponde: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». Questo significa che non sempre noi cerchiamo Gesù per una giusta causa, anche se in chiave terrena a noi sembrerebbe così.

Sapersi abbandonare alla sapienza di Dio è una delle migliori vie per la salvezza. Ciò non significa che dobbiamo chiudere la porta alla ricerca e alla ragione, ma solo riconoscere i limiti della nostra prospettiva, umana e fallace.